ORARI DI APERTURA

Lo sportello legale dell'Ambasciata dei Diritti e l'osservatorio contro le discriminazioni sono in via Urbino, 18 - Ancona. Per appuntamenti o informazioni potete conotattarci scrivendo a ambasciata@glomeda.org

Si al ricongiungimento familiare con il coniuge che aspetta la cittadinanza

In Italia più tutela alle famiglie di immigrati. Le autorità possono rilasciare permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare con il coniuge che è ancora in attesa di cittadinanza.
Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 12680 del 28 maggio scorso, ha respinto il ricorso del Ministero dell’Interno.
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23 maggio 2009 inaugurazione nuova sede

...COMINCIA ADESSO...
Finalmente dopo anni di battaglie l'Ambasciata dei Diritti, SABATO 23 MAGGIO 2009, inaugura un nuovo spazio nella città di Ancona. Uno spazio autogestito e auto-organizzato libero dagli interessi dei partiti e dei sindacati,antifascista e antirazzista.
Non è stato facile, perché posti come questo vengono ostacolati e continuamente messi in discussione sia da chi esercita il potere sia da chi vorrebbe arrogarsi la rappresentanza di alcune fasce sociali.
Siamo stati capaci di resistere un giorno di più e con i denti abbiamo liberato questo spazio, grazie alla nostra attività, grazie all'aiuto di molti migranti e grazie all'apporto delle comunità resistenti.
Per ottenerlo nel 2007 lo abbiamo occupato iniziando cosi una lunga trattativa con l'amministrazione comunale che alla fine non ha potuto far a meno di riconoscere i nostri progetti e la volontà di costruire uno spazio totalmente rivolto alla comunità territoriale. Per comunità territoriale intendiamo l’ espressione multitudinaria di chi oggi vuole insieme a noi produrre e difendere un bene comune che non si rivolge solo alla dimensione locale ma bensì a quella globale. Per questo non è possibile perimetrare il nostro agire che ci porterà a produrre iniziative rivolte alla complessità del nostro presente. Tutto questo è per noi anche una sfida in cui però non ci sentiamo soli. Tutto quello che oggi siamo in grado di esercitare è frutto di un lungo percorso di lotte sociali che tutt’ora godono di una propria e piena legittimità: noi ne siamo un pezzo!
Queste parole le rivolgiamo a tutti coloro che credono ad una società libera da paure, ad un mondo senza guerre, senza razzismo e senza lo sfruttamento delle ricchezze a qualunque costo.
Ci rivolgiamo a chi ama la vera politica, quella con la P maiuscola, quella che onora il suo significato letterale,e non certo quella che oggi viene assiduamente praticata dai partiti, dai sindacati e dalle corporazioni varie ad essi legati. Soggetti questi che speculano sulla ricattabilità di molte persone per qualche pugno voti, poltrone e tessere. Ci rivolgiamo a chi ha scelto di occupare il proprio spazio in basso a sinistra, a chi voglia sperimentare nuove forme di auto-organizzazione, a chi sa ribellarsi e indignarsi di fronte alle innumerevoli ingiustizie e violazione dei diritti che ancora oggi minacciano la libertà e la dignità della maggior parte della popolazione mondiale.
C’è tanto da fare e da discutere. Per ciò vogliamo costruire momenti di socialità in cui sia possibile allestire mostre svincolati dalle leggi del mercato e del denaro. Vogliamo costruire momenti di confronto tra studenti che liberamente possano incontrarsi per costruire un proprio percorso di autoformazione nel rispetto di una pluralità di saperi che non accetti ciò che è pre-confezionato ed imposto dall’alto.
Inaugureremo questo nuovo spazio liberato, incominciando dal torneo antirazzista che darà protagonismo a tutti i migranti invadendo il centro della città dove si fronteggeranno 24 squadre provenienti da tutta la regione,rappresentanti paesi da tutto il mondo.Per noi sarà un momento molto importante considerando che il nostro paese sta prendendo una deriva sempre più razzista. La classe politica ed i media creano la paura del diverso, allo scopo di nascondere i veri problemi del nostro paese che non sono i migranti, ma il lavoro precario che da insicurezza al nostro futuro, i tagli alla scuola che minacciano il diritto allo studio, le speculazioni edilizie che non permettono di avere una casa se non a costo di indebitarsi per tutta la vita. I giornali parlano tutti i giorni di fatti criminali compiuti da migranti, dimenticandosi di dire che in realtà i reati sono diminuiti che gli sbarchi sono calati, che se non fosse per i migranti la nostra economia sarebbe morta e che l' INPS sarebbe fallito.. Le leggi che sta cercando di attuare il governo di destra vengono definite dal resto del mondo leggi razziali, vogliono introdurre il reato di clandestinità, cioè se ti trovano senza il permesso di soggiorno anche se non hai fatto nessun reato ti possono arrestare fino a 5 anni e dare fino a 10.000 euro di multa. Questo è lo spirito di accoglienza del nostro paese, non ti chiedono che problemi hai, ti arrestano!
Hanno creato delle vere e proprie carceri per stranieri dove chiudono i migranti negandogli ogni diritto alla libera circolazione,prima li chiamavano CPT adesso CIE noi li abbiamo sempre chiamati con il loro nome Lager! Vogliono far diventare spie i medici, gli insegnanti e gli incaricati del pubblico servizio, per non parlare della tassa di duecento euro per la richiesta del permesso di soggiorno, di come sia sempre più difficile portare un parente in Italia, quanto sta diventando complessa la registrazione delle nascite e il riconoscimento di un figlio; l'elenco dei provvedimenti razzisti è lunghissimo e dedicheremo molti momenti per discutere di questo.
Attiveremo un centro contro le discriminazioni dove raccoglieremo le denunce dei migranti e che monitorizzi la loro situazione quotidiana. Sempre più frequenti sono gli attacchi nei loro confronti da parte di cittadini ignoranti e dall’estrema destra che ci ha costruito il proprio cavallo di battaglia.
Stiamo avviando l'Osservatorio sul porto di Ancona, crocevia di traffici che da un lato permettono l'arrivo in città di alimenti Ogm, sostanze inquinanti, armi e droga e dall'altro invece reprimono gli individui che scappando da zone povere del mondo o da guerre chiedono asilo al nostro paese.
Continueremo la nostra attività a favore della raccolta differenziata e del riciclo e ci opporremo fermamente agli inceneritori e alle centrali nucleari dimostrando che le vere energie alternative sono altre e che è possibile adottare impianti diversi senza far arricchire i soliti industriali e note imprese.
Saremo a completa disposizione del quartiere e dei cittadini offrendo l’utilizzo dello spazio per ascoltare ed accogliere le istanze di tutti .
Queste l’esperienze che attraverseranno lo spazio nuovo che è sorto in Via Urbino 18, spazio che si caratterizzerà per essere laboratorio di cooperazione sociale e pratica di democrazia assoluta.
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Il migrante può portarsi i figli in Italia anche se non ha un posto fisso

Gli immigrati possono ricongiungersi con i figli minori, e quindi portarli in Italia, anche se non hanno un posto fisso. L’importante è che guadagnino onestamente, anche con lavoretti saltuari, l’importo annuo dell’assegno sociale.
Con una sentenza depositata ieri dalla prima sezione civile la Cassazione ha chiarito, fra l’altro, che le norme della Bossi-Fini, così come modificate dal d.lgs. 5 del 2007, vanno interpretate nel senso che la domanda di ricongiungimento familiare, in presenza dei requisiti di reddito, va accettata anche se nel frattempo i figli sono diventati maggiorenni.
L’articolo 29 del d.lgs. 286 del ’98, ricordano i magistrati, prevede fra i requisiti per il ricongiungimento degli immigrati con i figli piccoli e adolescenti che lo straniero “sia titolare di un reddito annuo derivante da fonti lecite non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di un solo familiare, al doppio dell’importo annuo dell’ assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di due o tre familiari”.
Ora potrà portarsi in Italia la figlia un senegalese al quale il Questore di Lecco aveva rifiutato il nulla osta per il ricongiungimento familiare perché non aveva uno stabile lavoro in Italia (“per l’accertata mancanza – si legge in sentenza – di un contratto di lavoro della durata di almeno un anno”). L’uomo aveva impugnato il provvedimento di fronte al Tribunale di Milano e aveva vinto. Poi la decisione fu confermata dalla Corte d’Appello. Ieri la Cassazione ha chiuso il sipario sulla vicenda respingendo il ricorso del Ministero dell’Interno.
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Iniziativa choc di una dirigente scolastica - futuri possibili clandestini: i nomi sulla lavagna

UN GIORNO è entrata in aula la preside, ha preso un gessetto e si è messa a scrivere sulla lavagna un elenco di alunni. Ha fatto lo stesso in tutte le classi e nelle tre scuole del plesso, e quando non tracciava la sua lista era perché pronunciava ad alta voce i nomi degli studenti. Nomi di origine straniera. Nomi di presunti, futuri clandestini. Di prossimi fuorilegge. Nomi di ragazzi che nel corso dell´anno scolastico avrebbero compiuto il diciottesimo anno di età, e che non avevano chiarito la loro posizione ai sensi del futuro permesso di soggiorno.
Perché in Italia si può diventare degli irregolari per quello che si è, non per quello che si fa: basta raggiungere la maggiore età e avere dei genitori privi di permesso, o peggio ancora residenti in una casa troppo piccola, o titolari di un reddito considerato insufficiente. Prudente e precisa, la preside ? Rosanna Cipollina - ha redatto una sconcertante lista degli studenti «a rischio». E in qualche modo l´ha resa pubblica. Si è giustificata sostenendo di aver scritto quei nomi sulla lavagna perché temeva altrimenti di sbagliarne la pronuncia, e che quello era semplicemente un invito a presentare al più presto i relativi documenti in segreteria. Cosa che gli studenti hanno fatto puntualmente nei giorni successivi, ribadendo la loro «regolare» presenza sul territorio italiano.
E´ successo nell´istituto professionale per il commercio Casaregis, a Sampierdarena, nelle altre due strutture scolastiche accorpate, l´istituto tecnico industriale Galilei e l´Einaudi. Diversi insegnanti hanno sottoscritto indignati una lettera, trasmessa al provveditore agli studi e alla stessa preside.
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Manifestazione contro la chiusura del Csoa Tnt

Jesi, 16 maggio - A difesa di tutti gli spazi sociali
Ci sono fatti nella storia che per una serie di circostanze assumono un carattere simbolico.
La volontà di chiudere il Centro Sociale Autogestito TNT di Jesi è uno di questi.
Il governo delle destre opera veloce a colpi di decreti legge e in nome della sicurezza mette i militari nelle strade delle nostre città, impedisce i cortei nei centri cittadini, accresce i poteri dei Prefetti, infonde la paura, adotta leggi razziste, alimenta l´ignoranza tagliando fondi e personale alla scuola pubblica, spinge i Sindaci ad adottare ordinanze che regolamentano la nostra quotidianità, controlla tutti i mezzi di comunicazione e di informazione...
La crisi, prodotta dai grandi potentati della Finanza mondiale e dalla cattiva gestione dei fondi pubblici che troppo spesso vanno a finire nelle tasche degli speculatori, viene fatta ripagare tutta ai lavoratori, ai precari, a chi è più in difficoltà.
Lo slogan adottato da tutti è quello della "legalità", ma grazie ad un gioco perverso in nome della legalità si restringono sempre più le libertà e i diritti fondamentali delle persone.
In tutto questo i Centri Sociali rappresentano oggi molto più che spazi di aggregazione e produzione di cultura alternativa. I Centri sociali sono luoghi di autorganizzazione, di cooperazione sociale, di costruzione del comune, frontiere di difesa dei diritti, veri e propri presidi della Democrazia.
Una Democrazia viva, che produce conflitto salutare, pensiero e pratica critica, sperimentazione di nuove forme di comunità resistenti, laboratori di partecipazione attiva e collettiva alla vita della città. I Centri sociali sono alternativa di vita, luoghi di innovazione e costruzione di nuove relazioni sociali. Ogni Centro Sociale è un transito di chi cerca libertà oltre i recinti, è l´incrocio delle lotte e dei sogni, è lo spazio di aggregazione e di mobilitazione di desideri e aspettative, è una macchina che autogestisce e autoproduce.
Oggi i Centri Sociali sono spazi scomodi, sono spazi in pericolo. Il tentativo di chiudere il TNT non ha solo un significato locale, ma è un simbolo dell´attacco frontale che tutti gli spazi e i movimenti sociali stanno subendo: Falconara (Csa Kontatto), Senigallia (Csa Mezza Canaja), Civitanova (Csa Jolly Roger), Fabriano (Csa Luigi Fabbri), Pergola (Squola spa). Nelle Marche come nel resto d´Italia.
Oggi, in linea con la tendenza generale, per tentare di chiudere il TNT si usa l´arma della Magistratura. Ciò che sta avvenendo è paradigmatico di un periodo in cui ogni traccia di pensiero critico va eliminata, ogni resistenza va repressa con la forza, ogni dimensione collettiva di partecipazione va riportata all´individualismo e alla passività, ogni insicurezza va tranquillizzata col carcere e il manganello.

Tutto va riportato a norma, ma quale è la normalità?

Io non sono a norma
Per il diritto di resistenza
Libertà contro la crisi! Tnt vive!


Io non sono a norma
i migranti lasciati morire in mezzo al mare: sono a norma
finanziare le banche che hanno prodotto la crisi usando i nostri soldi : è a norma
lavorare da precario e in affitto: è a norma
mettere i militari nelle strade delle nostre città: è a norma
vietare le manifestazioni il sabato e la domenica: è a norma
controllare tutti i mezzi di comunicazione: è a norma
tagliare i fondi della scuola pubblica: è a norma
curare l´insicurezza col manganello : è a norma
manifestare sotto i simboli delle svastiche: è a norma
ma c´è ancora chi non è a norma : per questo deve resistere!

- ogni tentativo di eliminarci, ci ha reso più forti
- ogni volta che hanno tentato di toglierci lo spazio, non ci sono riusciti
- ogni volta che hanno provato a tapparci la bocca, abbiamo gridato più forte


Jesi, sabato 16 maggio - Manifestazione
ore 16.00 - Concentramento al Centro Sociale Autogestito Tnt, Via Politi (200 metri dalla Stazione fs)
ore 20.00 - Al termine del corteo Concerto Live in Piazza delle Monnighette (vicino Piazza della Repubblica)

Assemblea permanente a difesa del Csoa TNT
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Approvato alla camera il disegno di legge in materia di sicurezza pubblica

La Camera, dopo aver votato gli ordini del giorno, ha approvato il disegno di legge (C2180 -A), già approvato dal Senato, recante Disposizioni in materia di sicurezza pubblica. Il provvedimento torna ora all’esame dell’altro ramo del Parlamento.
Il testo introduce il reato di clandestinità e prevede il pagamento di 200 euro per il permesso di soggiorno. Viene poi confermato l'allungamento, fino a sei mesi dei periodi di permanenza nei CIE, i centri di accoglienza, fino a centottanta giorni. Prevista, poi, l'introduzione delle ronde, mentre è stata e ripristinata la norma antiracket sugli appalti, che non consente l'accesso alle gare alle vittime di concussione o estorsione aggravata che non denunciano, a meno che non ricorra lo stato di necessità o di legittima difesa. Tornano anche pieni poteri per il procuratore nazionale antimafia. Un'ampia parte del provvedimento è poi dedicata a nuove misure per la sicurezza stradale con la modifica del Codice della strada .

IL TESTO DEGLI EMENDAMENTI

SOMMARIO DELLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI STRANIERI DERIVANTI DALL'APPROVAZIONE DEI MAXIEMENDAMENTI
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La provincia di Ancona condanna nettamente la politica del governo in tema di immigrazione

ANCONA - All'unanimità la giunta provinciale di Ancona, presieduta dalla presidente Patrizia Casagrande ha approvato un ordine del giorno che condanna nettamente la politica del governo in tema di immigrazione e censura le dichiarazioni del presidente del consiglio.

"Quando - dice la presidente Patrizia Casagrande - il presidente del consiglio afferma di non volere un'Italia multietnica, mostra inequivocabilmente di condividere la violenza verbale a cui ci hanno abituato esponenti del suo governo, contribuendo a legittimare il clima razzista che si sta diffondendo nel Paese. Le gravissime dichiarazioni susseguitesi in questi giorni non fanno che alimentare un cultura dell'odio e dell'intolleranza, funzionale solo a nascondere le inadempienze della destra di fronte alla crisi economica".

"Lucrare cinicamente - continua la presidente - sui destini di centinaia e centinaia di essere umani in fuga da guerre e persecuzioni, non significa solo violare la Costituzione repubblicana e il diritto internazionale, ma vuol dire sfigurare la cultura politica del nostro Paese e i valori di pace, giustizia e solidarietà che ne costituiscono l'intima essenza".

L'ordine del giorno approvato
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Diritto di Asilo Negato: da Patrasso il resoconto dell'ambasciata dei diritti

Se fino a qualche tempo fa la situazione anomala e tragica di chi vive al campo afgano di Patrasso era poco conosciuta, oggi che i media nazionali e internazionali ne parlano quasi quotidianamente si potrebbe erroneamente pensare che tutte le denunce e i ricorsi per il trattamento che la Grecia riserva ai profughi e ai migranti abbiamo sortito qualche effetto.
La notizia che il governo greco volesse risolvere “il problema” è sembrato a tutti noi dell’Ambasciata dei Diritti delle Marche un annuncio che non portava a nulla di buono… e per vedere cosa stava succedendo una nostra delegazione la scorsa settimana ha raggiunto Patrasso.
Siamo andati al campo con l’associazione Kinisi, con cui il 2 aprile abbiamo organizzato ad Ancona l’incontro “diritto di asilo negato” e abbiamo parlato con chi ci vive.
La nostra prima impressione è stata che quel campo che fino a qualche settimana fa ospitava più di mille persone è sempre più isolato, ancora più invisibile agli occhi dei greci che ignorano o fanno finta di non vedere tutte quelle persone che ininterrottamente cercano una via per raggiungere l’Italia. Chi abita nel campo è continuamente esposto ad attacchi da parte di gruppi fascisti e della polizia locale e nonostante tutti i fatti che accadono quotidianamente, riescono a mantenere una dignità che raramente si trova in altre parti d’Europa.
Come si poteva immaginare l’arrivo a Patrasso del ministro degli interni greco di qualche settimana fa ha solo portato nuova paura e disperazione in tutti quelli che sopravvivono per le strade di Patrasso.
Secondo il piano deciso dal governo, entro la fine di maggio il campo verrà distrutto: i minorenni verranno portati nella prefettura di Aetoloakarnania in una colonia estiva che ospita bambini portatori di handicap; gli adulti verranno portati nella ex base militare Moma a circa 8 chilometri da Patrasso. La soluzione del governo non è una soluzione è solo il loro allontanamento dagli occhi dei turisti, dai greci e dal porto.
Chi vive nel campo ci ha detto di avere paura, di temere che in realtà questo spostamento possa nascondere una deportazione violenta verso la Turchia dove subiranno privazioni ancora più gravi e correranno rischi ancora maggiori. E la loro paura non è infondata visto che ad oggi, nella ex base militare non sono ancora cominciati i lavori per la sistemazione e la ristrutturazione degli edifici abbandonati.
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Nucleare, via libera del senato. Sei mesi per scegliere i siti

Via libera del Senato al ritorno del nucleare in Italia. Ieri l'assemblea di Palazzo Madama ha approvato (con 142 sì e 105 no: sì del Pdl e dell'Udc, no del Pd e dell'Idv) gli articoli 14-15 e 16 del disegno di legge "Sviluppo ed energia" che danno al governo la delega per adottare entro sei mesi (nel precedente testo si parlava del 30 giugno 2009), e dopo una delibera del Cipe, più decreti per il ripristino dell'intera filiera di produzione dell'energia atomica: tipologia e disciplina per la localizzazione degli impianti, stoccaggio del combustibile, deposito dei rifiuti radioattivi. Sono previste procedure velocizzate per la costruzione delle centrali da parte di consorzi: la cosiddetta "autorizzazione unica" che sostituisce ogni tipo di licenza e nulla osta tranne la Via (valutazione impatto ambientale) e la Vas (valutazione d'impatto strategica).
Dopo più di vent'anni si riapre dunque la strada all'energia nucleare: a bloccarla fu un referendum che si tenne l'8 novembre del 1987, l'anno dopo della tragedia di Chernobyl. I tempi del ritorno, per ora sono tutti da verificare: da segnalare tuttavia che nel febbraio scorso Berlusconi e Sarkozy hanno già siglato un'intesa per la produzione di energia nucleare che coinvolge Edf e Enel.

Dove sorgeranno le centrali.

In Sardegna, dalle parti di S. Margherita di Pula a sud. O anche sulla costa orientale, fra S. Lucia e Capo Comino. O più giù, davanti a Lanusei, alla foce del Rio Mannu. In Puglia, sulla costa di Ostuni. Lungo il Po, dal vercellese fino al mantovano, dove già esistevano le centrali di Trino e di Caorso. I siti dove localizzare le nuove centrali sono pochi e rischiano di essere molto affollati. Nei prossimi mesi, dovranno essere stabiliti i parametri, in base ai quali decidere dove collocare le future centrali. Sarà una fase di intenso mercanteggiamento con le autorità e le comunità locali, ma i margini di manovra sono ristretti anche dalla particolare conformazione geologica e costiera italiana.
Si può partire dalla mappa dei possibili siti che il Cnen (poi diventato Enea) disegnò negli anni '70. E' una mappa, però, largamente superata dagli eventi. In molte aree si è moltiplicata la densità abitativa, che il Cnen considerava un parametro sfavorevole. Soprattutto, è cambiato il rapporto con l'acqua. Le centrali hanno bisogno di molta acqua per raffreddare i reattori (questa acqua circola, naturalmente, fuori dal reattore) e, per questo vengono, di solito, costruite vicino ai fiumi o al mare. Il rischio, quando si tratta di fiumi, sono le piene, più frequenti negli ultimi decenni. Ma è un pericolo relativo: la centrale di Trino Vercellese, sette metri sopra il livello del Po, è sopravvissuta all'asciutto a due piene catastrofiche. Il problema, in realtà, non è troppa acqua, ma troppo poca. Il riscaldamento globale sta diminuendo la portata dei fiumi e c'è il dubbio che, in estate, la portata del Po non sia sufficiente per il raffreddamento delle centrali, mentre, contemporaneamente, si acuisce il problema di salvaguardare le falde acquifere, ad esempio in una zona di risaie, come il vercellese. L'alternativa sono le coste e l'acqua del mare. Ma il riscaldamento globale innalzerà progressivamente, nei prossimi decenni, il livello dell'Adriatico, del Tirreno e dello Jonio, ponendo a rischio allagamento centrali costruite per durare, mediamente, una cinquantina d'anni. Il Cnen, ad esempio, aveva indicato fra le aree più idonee il delta del Po e quello del Tagliamento, nell'Adriatico settentrionale. Ma il suo successore, l'Enea, definisce tutta la costa adriatica a nord di Rimini come la zona italiana a più alto pericolo di allagamento, con un innalzamento - minimo - del livello del mare di 36 centimetri. In effetti, quest'altra mappa dell'Enea ripercorre gran parte della costa italiana. Sia Piombino che l'area della vecchia centrale di Montalto di Castro, nel Lazio, ad esempio, scontano un innalzamento minimo del livello del mare di 25 centimetri.
E lontano dalle coste? Qui, il problema sono i terremoti. Sono poche, come mostra la storia recente e meno recente, le zone italiane esenti dal rischio sismico. Secondo la carta dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, davvero al riparo dai tremori della terra ci sono solo, oltre alla Sardegna, l'area di confine fra Piemonte e Lombardia e l'estremo lembo della Puglia. Naturalmente, una centrale può essere costruita con le più avanzate tecniche antisismiche. Qui, però, il problema non è tanto - o soltanto - l'eventualità di uno scuotimento catastrofico, che spacchi il reattore e riversi all'esterno la radioattività. Il problema sono fenomeni che compromettano il funzionamento del reattore. In Giappone, la più grande centrale atomica al mondo (Kashiwazi-Kariwa, non lontana da Tokyo) è ferma da due anni, in seguito ad un terremoto. L'impianto era stato costruito per reggere terremoti fino al grado 6 della scala Richter, ma si è rivelato un parametro ottimistico. Il terremoto del 2007 è stato pari a 6,8 gradi, una differenza enorme: dato che la scala è logaritmica, un grado in più significa un terremoto trenta volte più distruttivo. Non ci sono stati pericoli alla salute pubblica o fughe di radioattività, ma la Tepco (Tokyo Electric Power) ha dovuto, dal luglio del 2007, fermare i reattori, con un danno economico di quasi 6 miliardi di dollari, solo nel primo anno. Solo in questi giorni la Tepco si prepara a riavviare uno degli otto reattori della centrale.
Se sovrapponete la mappa dell'Enea sull'allagamento delle coste a quella dell'Istituto di geofisica, le aree a totale sicurezza (a prescindere dagli altri possibili parametri) che ne risultano sono quelle poche zone della Sardegna, della Puglia e del corso del Po. Qui, presumibilmente, si dovrebbero concentrare le centrali del piano nucleare italiano. Ma quante? Il governo ha finora parlato di quattro centrali. L'obiettivo dichiarato, tuttavia, è arrivare a soddisfare, con il nucleare, il 25 per cento del fabbisogno elettrico italiano. Le quattro centrali di cui si è, finora, parlato, arrivano, però, a poco più di un terzo. Secondo le previsioni della Terna, che gestisce la rete italiana, infatti, il fabbisogno elettrico italiano richiederà, già nel 2018, una potenza installata di 69 mila Megawatt. Le quattro centrali prospettate - che, peraltro, anche nell'ipotesi migliore, sarebbero completate 7-8 anni più tardi del 2018 - ne offrono solo 6.400, cioè il 9,2 per cento. Per arrivare al 25 per cento del fabbisogno, occorrono 17.500 Megawatt di potenza, quasi il triplo. In buona sostanza, per centrare quell'obiettivo non bastano quattro centrali da 1.600 Mw, come quelle ipotizzate finora. Ce ne vogliono 11.
Tutte in Sardegna, Puglia e Piemonte? E a quale costo? L'industria francese calcola, oggi, per la costruzione in Francia di una centrale tipo quelle italiane, un costo minimo di 4,5 miliardi di euro. I tedeschi di E. On scontano, per la costruzione di una centrale analoga, in Inghilterra, un costo di 6 miliardi di euro. Se si ritiene più attendibile, nel caso italiano, la valutazione di E. On per la centrale inglese, il costo complessivo dei quattro impianti italiani sfiora i 25 miliardi di euro. Per 11 impianti, da varare in rapida successione, si arriva vicini a 70 miliardi di euro, una cifra superiore al 4 per cento del prodotto interno lordo nazionale.
Tratto da Repubblica
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Ancona - La porta chiusa all'oriente

Il manifesto del 03 maggio 2009

Un’inquietante rete metallica nel porto dorico delimita il perimetro dell’area sbarchi e imbarchi dalla Grecia, un «muro» eretto contro rifugiati e immigrati che scappano da guerre, carestie e povertà. La via di fuga dei nuovi dannati della terra passa per Patrasso.

Ancona porta d’oriente. Questo lo slogan, un po’ da marketing pubblicitario, che periodicamente l’amministrazione comunale di turno, il politico in campagna elettorale, il giornale locale, lanciano senza senso del ridicolo. Peccato che questa presunta «porta d’oriente» sia in realtà sempre più blindata. Del resto chiunque oggi decida di imbarcarsi dallo scalo dorico per la Grecia, arrivato in prossimità della zona portuale, si trova di fronte ad una inquietante rete metallica che delimita il perimetro dell’area degli sbarchi e degli imbarchi. Una barriera come ci trovassimo in prossimità di un check point e non di un porto dove prendere un traghetto per una vacanza al mare. Un «muro» che simboleggia la nuova cortina di ferro verso i «dannati della terra» che fuggono da guerre, povertà, carestie e mettono a repentaglio la propria vita e quella dei loro cari per approdare sulle nostre coste. E il porto di Ancona, in questi ultimi anni, è diventato un punto sempre più caldo per quanto riguarda i tentativi di passare la frontiera.

Periodicamente la cronaca propone casi drammatici di migranti stritolati dalle ruote del tir dove si erano nascosti, sotto la «pancia» del mezzo. L’ultima tragedia è capitata domenica 29 marzo. Un ventenne iracheno, Aiman, si era aggrappato al semiasse per evitare i controlli, ma probabilmente stremato dal viaggio, dopo che il mezzo ha passato la dogana, ha lasciato la presa ed è rimasto schiacciato dalle ruote. Il 6 dicembre del 2006 due bosniaci Ferid Sulejmanovic di 33 anni e Sejdo Seferovic di 37, nel tentativo di raggiungere dei parenti a Roma e Cagliari, sono morti, probabilmente asfissiati, in un tir. E’ andata meglio a Ebrahim, afgano di 16 anni, nascosto sotto un pullman che riportava a casa da Atene una gita scolastica di studenti di Cheri. Dopo essersi nascosto nella stiva, si è appeso ad una traversina ed è riuscito ad arrivare fino alla località piemontese, dove crollato dalla stanchezza, è stato subito soccorso. Non sono stati così fortunati altri due giovanissimi, Khaled, sbarcato ad Ancona il 22 giugno dello scorso anno, sempre sotto un tir, e morto in autostrada a Forlì prostrato dallo sforzo e Zaher schiacciato il 10 dicembre del 2008 a Mestre.

Una situazione sempre più drammatica che ben conosce la sezione anconetana del Cir, Consiglio Italiano per i Rifugiati, una onlus attiva, anche a Venezia e Brindisi, dal 2001. Il Cir ha un ufficio proprio dentro l’area portuale ed ha il compito di ascoltare i cosiddetti clandestini individuati per verificarne la provenienza, i motivi del viaggio e l’eventuale richiesta d’asilo. Sandra Magliulo, una delle operatrici del Consiglio, ci spiega come inizialmente non avevano l’autorizzazione per accedere alle navi. Poi dal luglio 2007 sono riusciti ad avere il permesso. «Dal 2001 ad oggi - ci racconta - è triplicato il numero delle persone che a Patrasso attendono l’occasione buona per nascondersi e imbarcarsi. Ora si parla di duemila persone soprattutto di nazionalità afgana. Aspettano di passare per venire in Italia ma molti, la maggior parte, per attraversare il nostro Paese e congiungersi con i familiari. Il nostro è soprattutto un posto di transito. Cercano di passare il porto di Ancona per andare verso il nord Europa». Non sono pochi coloro che dopo aver dichiarato che vogliono raggiungere la famiglia all’estero, decidono di non scendere e tornano indietro, per poi tentare la fortuna dopo qualche giorno. «A volte - dice Sandra - il mediatore non arriva e quindi non facciamo in tempo ad ascoltarli».

Scelgono la Grecia e non l’Albania perché sanno che lì ci sono maggiori controlli in quanto Paese extra Shengen, mentre da Patrasso hanno qualche possibilità in più. Il tragitto classico è Afghanistan - Turchia - Grecia. La maggior parte sono uomini e molti scappano per motivi di lavoro. L’età media è molto bassa: 17-23 anni. «Sono persone che meriterebbero di essere tutte aiutate - sottolinea Sandra Magliulo - ma dobbiamo fare i conti con la nostra legislazione, non solo quella italiana, visto che il "Regolamento di Dublino", norma comunitaria, vincola gli individui e non dà a nessuno l’opportunità di scegliere dove richiedere asilo». Nel caso, abbastanza raro, di essere accolti si viene inseriti nelle strutture del Comune e della prefettura. Per i minori c’è un centro di prima accoglienza in un quartiere della città. Una palazzina con giardino. Poi quelli che rimangono vengono trasferiti in un’altra comunità data in gestione ad una cooperativa. Ancona ha il primato in Italia per il rapporto minori-popolazione locale (210 minori all’anno). Per i maggiorenni c’è un punto qualificato ad Arcevia, a quaranta chilometri dal capoluogo. I casi più disperati sono proprio quelli dei minori che si aggregano agli adulti dietro le carovane. Al Cir si sono trovati di fronte un bambino di sei anni arrivato con altri ragazzini, il più grande ne aveva 11. Sandra denuncia condizioni di lavoro difficili perché non ci sono strutture di prima accoglienza adeguate alla situazione. Con la polizia di frontiera ci dice «ora va molto meglio, mentre all’inizio le cose non sono state semplici».

Le cose saranno pure migliorate ma i respingimenti sono all’ordine del giorno e la polizia non gode di una buona fama. Ce lo confermano i giovani dell’Ambasciata dei diritti. L’Ambasciata è nata da alcuni anni. Si occupa di fornire assistenza e sostegno legale gratuito accessibile a tutti i migranti, compresi quelli privi di titolo di soggiorno. Sotto questo aspetto rappresenta ormai nel territorio regionale una realtà affermata e un punto di riferimento grazie al lavoro quotidiano a fianco dei migranti e al livello di competenza garantito anche dalla collaborazione con associazioni giuridiche che possono contare su un’esperienza pluriennale sull’immigrazione a livello nazionale. Gestisce anche un front office, con operatori qualificati, oltre che ad Ancona, a Falconara, Senigallia, Jesi e Macerata. Va detto che nel territorio comunale è ben presente un folto numero di associazioni, oltre a Cgil, Cisl e alla stessa Ambasciata, che sono molto attive su questo fronte. E poche settimane fa proprio l’Ambasciata dei diritti ha promosso una importante iniziativa nel capoluogo regionale il cui scopo, come ci ha spiegato Pietro è stato proprio quello di denunciare la prassi illegale della polizia di frontiera che in modo arbitrario rende alquanto difficile la possibilità che chi arriva possa fare richiesta di asilo.

E l’incontro promosso dall’associazione, «Diritto di asilo negato. Migranti e richiedenti asilo tra Ancona e Patrasso», ha visto l’intervento di Marianì, una giovane rappresentante dell’associazione «Kinisi» che proprio nella località greca di frontiera da due anni svolge la propria attività per aiutare i migranti. La situazione a Patrasso è ormai drammatica. Nella zona in prossimità del porto da tempo si è formato un villaggio fatto di piccole «abitazioni» costruite con cartone e legno, dove i tanti che provano la fortuna vivono in condizioni allucinanti. «Non hanno acqua, gas elettricità - ci racconta Marianì - e cercano di provvedere come possono, collegandosi con le reti del Comune». Anche con il rischio di rimetterci la vita come è successo tempo fa a chi si era collegato con la centralina vicina alla piccola bidonville. Una parte degli abitanti del quartiere limitrofo ha creato un’associazione anti immigrati dal significativo nome «saccheggio della città». La polizia si comporta con la consueta durezza di fronte a questi casi. Controlli pesanti, pestaggi e tutto l’armentario repressivo a cui purtroppo siamo abituati anche noi in Italia. Chi non ce la fa a passare ad Ancona e torna indietro viene chiuso nei container, senza bagno e acqua, cibo fornito una volta al giorno, ma non sempre. Insomma in prigione, anzi peggio.

I ragazzi di Kinisi fanno del loro meglio portando vestiti, da mangiare e da bere. Anche lì le associazioni si mobilitano. Intanto da un anno sono riuscite a far entrare nel ghetto una postazione di Medici Senza Frontiere. Poi hanno fatto una manifestazione per denunciare la situazione al resto della città, ignara di cosa accade a poche centinaia di metri. «Da dicembre - denuncia Marianì - la polizia si è fatta più aggressiva nei nostri confronti». È notizia di quete ore che il ministro degli interni greco ha deciso di trasferire tutti i profughi in una ex base militare fuori Patrasso, e tra poche settimane l’attuale campo verrà raso al suolo. Ancona e Patrasso sono due facce della stessa medaglia. Ne emerge un quadro fatto di soprusi, violenze, difficoltà enormi ad essere accettati come profughi, a fronte di persone che hanno bisogno di solidarietà e inclusione. In una situazione del genere, come abbiamo visto, diventa centrale il ruolo degli avvocati come prezioso supporto ai tanti casi di ordinaria ingiustizia. «Chiunque arriva in una zona di frontiera - dice Paolo Cognini, avvocato jesino oltre che leader storico del centri sociali marchigiani e consulente dell’Ambasciata - nel nostro caso al porto, dovrebbe essere debitamente informato sui diritti che ha dal punto di vista della richiesta di rifugiato che gli consentirebbe di rimanere nel territorio italiano pur nelle condizioni di restrizione per le modifiche intervenute nella normativa». Cognini evidenzia come chi arriva da Patrasso, nella maggior pare dei casi, proviene da Iraq e Afghanistan, quindi da zone di guerra. La Grecia, tra l’altro, più volte è stata denunciata dalla Corte di giustizia europea per la mancanza di tutele per i richiedenti asilo.

«Altro problema grave - prosegue - è quello dei minori. Infatti secondo la nostra legge qualsiasi minore che arriva in Italia non può essere respinto o espulso, tranne problemi gravissimi di sicurezza per lo Stato, e quindi dovrebbe avere diritto all’assistenza». Ultima questione, estremamente delicata, riguarda la repressione del reato di favoreggiamento di immigrazione clandestina. La legislazione prevede fino a quindici anni di reclusione, ma Paolo Cognini ci spiega come a farne le spese non siano le reti di trafficanti legati alla grande criminalità, ma spesso amici, genitori, conoscenti, che hanno un rapporto affettivo con il migrante. «Mi stanno capitando casi di persone - conclude - che si trovano in carcere da molto tempo e che devono affrontare processi assolutamente sproporzionati dal punto di vista dei possibili esiti rispetto al fatto reale che il più delle volte non riguarda trafficanti ma relazioni amicali».

A poche centinaia di metri dal porto di Ancona, dopo quella rete metallica simbolo dell’assurdità delle nostre leggi, c’è il corso principale della città. Ogni sera va in onda lo «struscio» che coinvolge centinaia di anconetani. Ignorano che poco distante dalla loro passeggiata, con sempre maggiore frequenza, ci sono persone, spesso loro giovani coetanei, che aggrappati disperatamente ad un tir cercano di passare il nuovo muro edificato dall’occidente. Il muro della vergogna.

di Sergio Sinigaglia

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Immigrati, Malta respinge nave italiana con migranti. E la politica litiga ancora

Tratto dal Messaggero
ROMA (11 maggio) – La politica discute, la Guardia di Finanza soccorre e si riapre un altro fornte critico tra Italia e Malta. Un gommone con a bordo 48 immigrati clandestini è stato soccorso all'alba di oggi da due motovedette della Guardia di finanza a una ventina di miglia a Sud est di Capo Passero, nel siracusano. L'attività è stata coordinata dalla capitaneria di porto di Catania. Gli extracomunitari sono stati trasferiti al centro di accoglienza di Cassibile.

Malta blocca nave italiana. Il governo maltese non ha autorizzato l'ingresso nel porto della Valletta della nave Spica della Marina Militare Italiana, con a bordo 69 migranti, tra i quali 16 donne, recuperati ieri nel canale di Sicilia. Il salvataggio è avvenuto a circa 70 miglia sud di Lampedusa, in acque di competenza maltese per quanto riguarda le operazioni Sar di ricerca e soccorso. Il pattugliatore, che in questo momento è fermo al limite delle acque territoriali maltesi, stava facendo rientro da Tripoli, dove aveva trasferito ieri mattina altri 162 extracomunitari respinti in Libia dalle autorità italiane.
Secondo alcune fonti la nave potrebbe ora fare rotta verso Porto Empedocle (Agrigento), ma non è escluso nemmeno un nuovi respingimento in Libia dei profughi. Dopo gli scontri diplomatici nei giorni scorsi tra Italia e Malta legati alla vicenda della Pinar, il mercantile turco rimasto fermo per quattro giorni con 144 migranti a bordo in attesa di un accordo sulla loro destinazione finale, La Valletta aveva detto di condividere pienamente la linea dei respingimenti adottato dal governo italiano.
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Sri Lanka all'arme dell'ONU "uccisi oltre 100 bambini"

Ci sarebbero oltre 100 bambini fra i civili tamil uccisi, nel fine settimana, dai bombardamenti nel nord-est dello Sri Lanka. A lanciare l'allarme è stato Gordon Weiss, un portavoce dell'Onu a Colombo, che ha parlato di un "bagno di sangue".
Le autorità sanitarie locali hanno riferito della morte di almeno 378 civili sotto i bombardamenti nell'ultimo lembo di terra in mano ai ribelli mentre le Tigri Tamil hanno denunciato l'uccisione di oltre 2000 persone nei colpi d'artiglieria dell'esercito regolare tra sabato e domenica. L'esercito invece sostiene che a provocare il massacro siano gli stessi Tamil, che sparano con i mortai sulla popolazione civile allo scopo di incolparne le forze armate. "Più di 2mila civili innocenti sono morti nel corso delle ultime 24 ore", si legge in un comunicato pubblicato ieri sul sito pro ribelli. Un portavoce dell'esercito di Colombo, il generale Udaya Nanayakkara, ha smentito categoricamente l'informazione, negando che l'esercito abbia condotti degli attacchi contro obiettivi civili.
Sempre secondo il sito internet, dopo l'offensiva dell'esercito 257 cadaveri sono stati trasportati in un ospedale di fortuna allestito in una scuola elementare di Mullivaykal. Fra questi, 67 corpi di bambini. All'ospedale sono arrivati inoltre 814 feriti di cui 112 ragazzini, aggiunge il sito citando fonti mediche. "Non abbiamo utilizzato nessuna arma pesante nella zona in cui i Tamil affermano ci siano state vittime civili", ha risposto l'esercito, precisando di aver scoperto uno "strano oggetto" che potrebbe essere stato concepito come "nascondiglio sottomarino" del leader delle Tigri, Velupillai Prabhakaran, scomparso da 18 mesi. Secondo le stime delle Nazioni Unite, tra la fine di gennaio e la metà di aprile sono stati uccisi 6.500 civili e altri 14 mila sono rimasti feriti. In quattro mesi, l'Onu ritiene che siano quasi 200 mila le persone fuggite dai combattimenti e riparate in campi situati nel Nord, dove la stampa ha accesso limitato.
Dopo anni di violenze, il governo di Colombo ritiene di aver sconfitto i ribelli, che tra il 2006 e il 2007 controllavano un terzo dei 65 mila chilometri quadrati dell'isola. Ma, sempre secondo gli osservatori delle Nazioni Unite, sono ancora circa 50 mila le persone intrappolate nella striscia di tre chilometri quadrati in cui l'esercito ha stretto i Tamil nell'atto finale di una guerra che, cominciata nel 1983, ha provocato la morte di almeno 70.000 persone.
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Immigrati continua la linea dura dettata dalla Lega

Tratto da Repubblica
Allarme delle organizzazioni umanitarie: "in Libia condizioni intollerabili"
LAMPEDUSA - Alle 8,15 di ieri mattina il capo della Polizia, Antonio Manganelli telefona al ministro degli Interni Maroni avvertendolo che qualche minuto prima nel porto di Tripoli sono stati sbarcati 240 extracomunitari, gli ultimi della lunga lista di migranti soccorsi in questi giorni nel Canale di Sicilia, vicinissimi alle coste di Lampedusa. E Maroni è soddisfattissimo di questa "svolta storica" ribadendo che la linea, da ora in poi, è una sola: "Chi non entra nelle acque territoriali italiane sarà rispedito da dove è venuto e si continuerà così finché gli sbarchi non cesseranno del tutto".

Tra i 240 extracomunitari rispediti ieri in Libia c'erano 42 donne e due neonati che sono stati trasferiti nella prigione di Zawia, a 35 chilometri da Tripoli, mentre altri sono stati spediti in altri centri di accoglienza del territorio libico. Prigioni o centri che sono sovraffollati come hanno potuto constatare ieri i rappresentanti delle organizzazioni umanitarie che finalmente, dopo giorni di attesa, sono stati ammessi all'interno delle prigioni. In quella di Zawia. La situazione è incandescente, "radio carcere" fa sapere che sono più di 700 i rinchiusi in quella prigione, anche dei bambini. "Siamo in più di 70 per ogni camerata che ne può ospitare non più di venti, non c'è posto neanche per dormire a terra - dice uno di loro - ci sono tre donne incinte senza i mariti mentre una terza che è con il suo uomo è al quarto mese di gravidanza e non sta molto bene perché rischia di abortire dopo questi giorni di inferno". Sono in maggioranza nigeriani, eritrei e somali.
Questi ultimi rifiutano di rientrare nei loro Paesi, afflitti dalla guerra e dalla povertà e preferiscono rimanere nelle "prigioni" libiche anche per alcuni anni.
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