Sono passati pochi giorni da quando la mano armata di un neo-fascista
ha sparato all’impazzata nelle vie di una nostra città alla ricerca
delle sue vittime “di razza”. Sono passati pochi giorni da quando
migliaia di persone hanno deciso che ad ogni costo il silenzio e le
ritualità andavano frantumati, che il clima di complicità con quel gesto
infame e l’arroganza di un potere convinto di poter imporre i suoi
diktat andavano rovesciati.
E’ passato poco tempo. Eppure nel volgere di pochi giorni è nata una
storia, una grande storia, che sembra impossibile possa essere contenuta
nel suo breve involucro temporale. Una storia che ha restituito ai
movimenti una capacità di protagonismo fino a qualche settimana fa
inimmaginabile, che ha reso le piazze di tante città impraticabili per i
neofascisti, che ha dissestato la già miserabile campagna elettorale,
che ha trasformato un intero contesto culturale e comunicativo in cui si
era ad arte costruita la percezione dell’assenza di opzioni, della
cultura razzista e della propaganda xenofoba come sfondo dominante,
della sicurezza come negazione delle libertà.
Qualcuno ha detto che questa storia è magica. Ma non c’è niente di
magico o di trascendentale, non è una fortunata ed occasionale
combinazione di elementi. Molto più semplicemente la realtà materiale,
le sue contraddizioni ed il bisogno sempre più pressante di reagire, di
non subire oltre, ha trovato una credibile possibilità di espressione,
costruita sull’affermazione radicale dell’indipendenza dei movimenti,
sull’insubordinazione, anziché sulla mediazione, verso tutti i tentativi
di scipparne la rappresentanza, di limitarne la presa di parola o di
farne terreno di campagna elettorale. Ciò che ci appare straordinario è,
in realtà, la potenza naturale che i movimenti esprimono quando sono
reali e protagonisti dei propri percorsi. Un lungo periodo di
difficoltà, di divisioni e sottrazioni, di riduzione drastica degli
spazi di agibilità, di disarticolazione dei soggetti sociali di
riferimento, ha attenuato la consapevolezza della reale intensità di
tale potenza, nella quale si radica l’unica realistica prospettiva di
cambiamento generale. Ma le mobilitazioni di questi giorni, la loro
incisività e la loro forza incredibilmente ricompositiva ci hanno
bruscamente rimesso difronte a quella potenza, alla sua importanza, al
desiderio ed alla speranza di tornare a viverla, di vederla nuovamente
espandersi, travalicare, debordare. Tutte e tutti siamo tornati a
saggiare la materia viva della modificazione del reale, puntuale,
immediata, di cui i movimenti sono capaci.
Sono stati sufficienti pochi giorni per ridare significato e concretezza
alla parola “antifascismo”: una declinazione nuova che attualizza
l’antifascismo storico ed immette una produzione di senso che tiene
insieme il rifiuto di ogni discriminazione etnica o razziale, la lotta
contro il sessismo e la violenza del patriarcato, la battaglia per le
libertà nel tempo della fine dello stato di diritto. Tutte direttrici di
contenuto che le migliaia di persone che si sono mobilitate hanno
scelto di porre all’ordine del giorno e che, a loro volta, si radicano
nella problematica generale del sistema economico e politico in cui
razzismo, sessismo, neo-fascismo, negazione delle libertà e della
giustizia sociale proliferano.
Mentre i 30.000 sfilavano per le vie di Macerata, più di una volta ci
siamo imbattuti in persone che parlavano di “una boccata d’aria”,
alcuni azzardavano che stesse “cambiando l’aria”. Con le grandi
mobilitazioni antifasciste e antirazziste dei giorni successivi abbiamo
letto che era “l’aria di Macerata” a soffiare nelle strade e nelle
piazze. Ma l’aria, lo sappiamo, quando inizia a muoversi è strana,
cambia di direzione e senso, si muove attraversando luoghi e acquisisce
forma e forza dei movimenti che incontra. Più strade percorre più
diventa vento collettivo e si esprime in forme diverse a seconda delle
barriere che urta e della morfologia che incontra.
Così quel vento partito dalla provincia non è più uguale a come è
cominciato ma è già sostanza di tutte e tutti, andando ben oltre la
grande giornata del 10 febbraio.
I venti nascono dalla differenza di pressione, nascono dal conflitto. E
in questi anni nonostante una feroce repressione, nonostante
un’informazione main stream sempre più veicolo del decadimento culturale
e politico, nonostante il clima mefitico che noi tutti respiriamo nelle
nostre città, nonostante le mille differenze che i movimenti hanno
sedimentato al loro interno negli anni, nonostante tutto questo e molto
altro c’è stato sempre chi ha continuato a metterci cuore, polmoni e
fiato.
Dalle montagne della Valsusa fino alle spiagge del Salento, passando per
piccoli e grandi conflitti il vento ha continuato a soffiare,
impercettibile, quasi un sospiro, anche nei momenti più bui della nostra
storia. Ora improvvisamente sembra riemersa una capacità di
trasformazione della realtà che si è determinata direttamente come
evento e come processo: la diffusione molecolare della mobilitazione, la
costruzione collettiva della potenza dell’avvenimento, l’energia
generata che ha determinato la concatenazione e moltiplicazione di
ulteriori accadimenti.
Dopo la manifestazione del 10 febbraio in molte/i ci hanno chiesto
quali sarebbero stati i passaggi successivi, a quali proposte stavamo
pensando per dare continuità al percorso aperto con la mobilitazione di
Macerata. Non avremmo potuto dare altra risposta a queste domande se non
quella semplice, trasparente, forse ovvia, della nostra insufficienza,
del fatto che i passaggi successivi possono essere solo il prodotto di
una riflessione collettiva, condivisa, articolata tra tutte e tutti
coloro che hanno fatto proprio questo percorso, generalizzandolo e
diffondendolo nei territori.
Quale altra risposta potrebbe darsi se non che i passaggi successivi
possono essere solo il prodotto di un’assunzione di “responsabilità”
comune, quella responsabilità “rivoluzionaria”, che è capace di
anteporre ai particolarismi, alle sclerotizzazioni, alla tentazione di
“autocentrare” i ragionamenti, le necessità di crescita, riaggregazione e
ricomposizione dei movimenti? Che il patrimonio restituitoci da queste
settimane di mobilitazione è un bene prezioso, da curare e tutelare,
forse anche da noi stessi, dal rischio di semplificazioni o di
sovrascritture che peserebbero come macigni su percorsi che sono appena
all’inizio?
Per tutto questo pensiamo che la grande ricchezza che si è espressa
in queste settimane debba prima di tutto trovare un momento di confronto
collettivo dove sia possibile provare a darci insieme delle risposte, a
condividere l’entusiasmo con cui immaginare i passaggi successivi e la
geografia di un agire in grado di riaprire spazi credibili di
espressione della conflittualità sociale.
E’ da queste considerazioni che nasce la proposta di realizzare
nelle Marche un’assemblea unitaria di movimento per SABATO 10 MARZO.
I movimenti hanno la forza di trasformare perché essi sono già
cambiamento in atto, fuori e dentro se stessi. I movimenti cambieranno
il futuro perché hanno la forza, qui ed ora, di cambiare il presente.
CSA Sisma
Centri Sociali delle Marche
Ambasciata dei Diritti Marche
Avremmo voluto organizzare questa assemblea a Macerata, anche per
provare a sdebitarci con tutt* per la grande partecipazione del 10
febbraio. Purtroppo a seguito del terremoto del 2016 alcuni degli spazi
più capienti della città sono inagibili ed inoltre la nostra
collocazione geografica non è sicuramente tra le più raggiungibili.
Per queste ragioni e per consentire pertanto la massima e più
agevole partecipazione di tutt* (cosa che per noi è prioritaria in
questa fase), abbiamo deciso di spostare l’assemblea ad Ancona.
Ci vediamo quindi sabato 10 marzo ad Ancona!
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