Nelle
Marche le prime firme possono essere apposte il 9
aprile dalle 9 alle 13 nell’Ufficio Relazioni col Pubblico del
Comune di Ancona,
Piazza XXIV Maggio, ed in seguito nello stesso in orari di lavoro; in
seguito sarà possibile firmare nelle piazze e nelle segreterie dei
principali comuni.
L’Ambasciata dei Diritti di Ancona sostiene la Campagna Tre leggi per la giustizia e i diritti. Tortura, carceri, droghe promossa dall’associazione Antigone Onlus, osservatorio sulle condizioni di detenzione nel territorio nazionale nato nel 1998. Si tratta di tre proposte di legge di iniziativa popolare depositate lo scorso gennaio in Cassazione.
La prima proposta di legge vuole sopperire ad una lacuna normativa grave: nell’ordinamento italiano manca, infatti, il reato di tortura nonostante vi sia un obbligo internazionale in tal senso. Lo stesso testo proposto da Antigone è infatti quello codificato nella Convenzione delle Nazioni Unite ratificata nel novembre 1988. L’Italia, con un vuoto che dura quindi da 25 anni, è di fatto l’unico Paese europeo che tenacemente rifiuta di assumere questo reato nel proprio Codice Penale. Riteniamo centrale la proibizione legale della tortura e indice di democrazia di un sistema politico: la sua assenza ci ha dimostrato più volte come ciò significa anteporre la difesa della proprietà all’incolumità fisica e morale del singolo. La tortura non è solo un trattamento crudele, degradante ed efferato, ma anche un atto volontario di sottomissione finalizzato alla negazione della verità e al diritto alla giustizia. La tortura non si determina semplicemente quando un singolo o un gruppo agisce in deroga a ogni legge o regolamento nei confronti di chi è affidato alla custodia dello Stato, in quanto sono le normative che possono creare o tollerare esplicitamente situazioni di degrado oltre a punizioni sia per l'individuo sia collettive. Tortura, infatti, è anche l'insieme di quelle pratiche discrezionali ampiamente utilizzate nelle nostri carceri e città, che consentono ai “superiori” di perseguitare altri. Con questa proposta di legge, Antigone offre un’alternativa all'imperante populismo penale che pretende di tenere a bada il disagio sociale con un sovraccarico di criminalizzazione o illude, in varie sfumature, di combattere la corruzione con la retorica garantista.
La seconda proposta di legge intende ripristinare legalità e rispetto della Costituzione nelle carceri. Intende, infatti, intervenire in materia di diritti dei detenuti e di riduzione dell’affollamento penitenziario, rafforzando il concetto di misura cautelare intramuraria come extrema ratio, proponendo modifiche alla legge Cirielli sulla recidiva, imponendo l’introduzione di una sorta di “numero chiuso” sugli ingressi in carcere, affinché nessuno vi entri qualora non ci sia posto. Insieme alla richiesta di istituzione di un Garante nazionale per i diritti dei detenuti, viene anche proposta l’abrogazione del reato di clandestinità. Sono oltre 24 mila, su un totale dei detenuti di circa 65 mila(affollamento penitenziario più alto della Unione Europea), quelli che sono in carcere per pene inferiori ai tre anni e che quindi non accedono alla possibilità di scontarle in misura alternativa al carcere. Segnale questo della stessa discrezionalità di cui parlavamo prima: la magistratura di sorveglianza sempre meno, autorizza, per i reati minori, la possibilità di scontarli fuori dalle mura del carcere.
. . Il 50% della popolazione carceraria è di nazionalità straniera: ciò dimostra che queste persone sono in carcere per aver subito il reato di clandestinità o per reati ad esso collegato. La clandestinità è una vera e propria invenzione di uno Stato razzista ed espulsivo che tatua su persone che fuggono da guerre e persecuzioni il marchio indelebile dell’illegalità e irregolarità consegnandoli per sempre –perché dalla clandestinità non se ne esce né con un lavoro, né con una famiglia né con una casa –a vivere una vita di nascosto. Vivere una vita da invisibili significa doversi nascondere per lavorare, per dormire, per portare i figli a scuola e ciò, è ovvio, incrementa la possibilità di fare scelte “illegali” e finire così nelle maglie della “giustizia”.
Infine, la terza proposta vuole modificare la legge sulle sostanze stupefacenti che produce la maggior percentuale di carcerazione: la Fini-Giovanardi.
E’ da notare che, come per il reato di tortura anche la Fini-Giovanardi del 2006, intervenuta a modifica della legge 309/1990, mostra la scelta di un inasprimento della normativa italiana negli anni in cui in Europa si affermava la strategia dei “quattro pilastri” (prevenzione, terapia, riduzione del danno, repressione), caratterizzata da un riequilibrio, di enfasi e di risorse, dal pilastro “repressione” verso i pilastri sociosanitari.
Il 3° Libro Bianco sugli effetti della Legge Fini-Giovanardi dimostra come la repressione “punti al basso”: cresce il numero delle persone segnalate all’autorità giudiziaria; aumenta in maniera impressionante il numero delle sanzioni amministrative contro un abbattimento delle richieste di invio a programma terapeutico; aumenta la percentuale dei tossicodipendenti in carcere sul totale dei detenuti e quella sul totale degli ingressi; gli affidamenti terapeutici continuano ad essere inferiori e si è invertita la tendenza che vedeva la maggioranza degli affidamenti per soggetti in libertà, mentre ora la gran parte ottiene la misura alternativa provenendo dal carcere; cresce il numero di chi singolarmente produce o spaccia droga (il pesce piccolo), mentre diminuiscono le segnalazioni per gli ex art. 74, ovvero per la grande produzione e il grande spaccio (il pesce grosso), che non è sostanzialmente intaccato nella sua attività criminale dalla legge Fini-Giovanardi.
Sosteniamo quindi anche questa terza legge di iniziativa popolare, per ridare alla comunità pubblica il potere di rimettere la persona al centro, rifiutando il ruolo di controllo e punizione, tipici di un ambiente culturale pre-Basaglia che poggiava su normalizzazione, medicalizzazione, esclusione e la reclusione.
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