Respingimenti nei porti a adriatici, l’Italia non si è ancora adeguata a quanto stabilito dalla CEDU nella sentenza Sharifi
Nell’ambito della procedura di supervisione della sentenza della
Corte EDU Sharifi e a. c. Italia e Grecia e a partire dal lavoro di
osservazione e di approfondimento scientifico, ASGI, Ambasciata dei
diritti di Ancona, l’Associazione Gruppo Lavoro Rifugiati, SOS Diritti
Venezia e No Name Kitchen hanno inviato una comunicazione al fine di
sottoporre all’attenzione del Comitato dei Ministri del Consiglio
d’Europa i profili di sostanziale continuità delle procedure in atti
presso i porti adriatici rispetto alle prassi lesive dei diritti
sanzionate dalla Corte il 21 ottobre 2014. A seguito di tale
segnalazione, Il Comitato ha quindi deciso di proseguire la procedura di
supervisione dell’attuazione della sentenza, nonostante la richiesta di
chiusura da parte del governo italiano
I valichi di frontiera dei porti adriatici italiani rappresentano dei
luoghi di difficile monitoraggio e intervento da parte della società
civile sia a causa delle politiche di respingimento, contenimento e
selezione degli arrivi, sia come conseguenza dell’attuazione di prassi
illegittime che si svolgono in una condizione di sostanziale
discrezionalità ed invisibilità (dal momento che viene sistematicamente
impedito a realtà indipendenti della società civile l’accesso ai valichi
di frontiera interessate a monitorare quanto accade). Rispetto a circa
10 anni fa i flussi migratori dai porti greci a quelli italiani sono
allo stato attuale ridotti,tuttavia, il numero degli arrivi e dei
respingimenti mantiene una certa rilevanza (soprattutto per quanto
concerne i porti di Bari e Brindisi).
Nel caso Sharifi e a. c. Italia e Grecia, la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per la
riammissione non registrata e indiscriminata verso la Grecia, sulla
base dell’accordo bilaterale di riammissione concluso nel 1999, di 35
cittadini stranieri che, giunti in Italia presso i porti di Bari, Ancona
e Venezia sono stati immediatamente rinviati in Grecia. Con tale
sentenza la Corte europea dei diritti dell’uomo, ha condannato l’Italia
per la violazione del divieto di espulsioni collettive (art. 4
protocollo 4 alla Convenzione europea dei diritti umani), il divieto di
trattamenti inumani o degradanti (art. 3 della Convenzione), e il
diritto a un ricorso effettivo contro l’espulsione collettiva e
l’esposizione a trattamenti inumani e degradanti (art. 13 in combinato
disposto con l’art. 3 della Convenzione e con l’art. 4 protocollo 4).
In seguito alla sentenza si è aperta la procedura di supervisione
dell’attuazione della stessa di fronte al Comitato dei Ministri del
Consiglio di Europa, volta a monitorare l’adozione delle misure
necessarie a porre fine alle prassi illegittime condannate dalla CEDU.
Nel giugno del 2019 il Governo italiano aveva nuovamente chiesto al
Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa – organo responsabile della
supervisione dell’attuazione delle decisioni della Corte negli Stati
membri – la chiusura della procedura di supervisione in corso,
sostenendo che tutte le misure volte ad evitare il ripetersi delle
violazioni che avevano condotto alla condanna dell’Italia fossero state
adottate.
L’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI),
l’Ambasciata dei Diritti delle Marche, l’Associazione SOS Diritti, No
Name Kitchen e l’Associazione Gruppo Lavoro Rifugiati hanno deciso di
intervenire per la seconda volta in tale procedimento, sottoponendo al Comitato una comunicazione in cui vengono dettagliate le criticità e le violazioni che ancora permangono.
A partire dalle attività di monitoraggio svolte, il documento mette
in evidenza come proseguano le riammissioni e i respingimenti informali
dall’Italia alla Grecia di persone rintracciate sulle navi o
nell’immediatezza dello sbarco, in assenza di alcun provvedimento
scritto e motivato rilasciato da parte dalle autorità presenti ai
valichi, senza alcuna valutazione della situazione individuale anche con
riferimento a situazioni di vulnerabilità quali ad esempio i minori non
accompagnati, senza alcun accesso immediato e sistematico ad
informazioni adeguate in merito ai propri diritti e alla richiesta di
protezione internazionale, compresi diversi casi di persone che hanno
espresso la volontà di chiedere protezione senza che tale richiesta
venisse presa in carico dalle autorità preposte.
Inoltre, si riferiscono le criticità che caratterizzano i servizi di
accoglienza ai valichi di frontiera previsti dalla normativa interna al
fine di informare e assistere i cittadini stranieri che fanno ingresso
in Italia per motivi diversi dal turismo. Rispetto all’effettività e
l’efficacia del servizio dei servizi di accoglienza, si confermano le
criticità relative alla effettiva presenza o reperibilità negli orari di
arrivo dei traghetti, alla collocazione degli stessi, che in alcuni
casi non dispongono nemmeno di un ufficio fisico o comunque posto al di
fuori della zona di sbarco, alla loro riconoscibilità e all’autonoma
accessibilità da parte del cittadino straniero. Soprattutto, i servizi
predisposti dagli enti di tutela vengono attivati esclusivamente su
segnalazione delle autorità di frontiera – che appaiono svolgere una
funzione di filtro in merito all’esercizio del diritto di asilo e di
qualsiasi altro diritto – risultando svuotati di gran parte della
loro funzione finalizzata a svolgere un effettivo ruolo di tutela. Non
vi sarebbe pertanto garanzia che l’ente di tutela possa avere accesso ai
luoghi dove si espletano le procedure di identificazione e viene
disposto il respingimento, non potendo tantomeno monitorare cosa accade
nella generalità dei casi.
Alla luce dell’allarmante quadro tracciato, il Comitato ha quindi deciso di proseguire nella procedura di supervisione.
Invita quindi le autorità a riferire informazioni aggiornate e complete
sui servizi di accoglienza nei porti adriatici, dando garanzie in
merito all’effettiva fornitura di informazioni ai cittadini stranieri in
arrivo in merito ai loro diritti e alle procedure di asilo, anche
attraverso un immediato accesso ai servizi di accoglienza subito dopo
l’arrivo, chiarendo come ciò possa essere garantito laddove i servizi di
accoglienza sono collocati fuori dalle zone di transito dei porti. Il
governo dovrà presentare un action plan o un action report entro il 15 giugno 2020.
Si tratta di un risultato significativo, nel merito, ma anche con
riferimento all’utilizzo delle comunicazioni da parte della società
civile quale strumento di intervento nell’ambito della procedura di
supervisione,
che conferma l’importanza del monitoraggio svolto, a livello locale e
non, e il lavoro di rete delle varie realtà al fine di amplificare
l’impatto sulle prassi di gestione degli arrivi e sui meccanismi di
identificazione e incanalamento verso le procedure di asilo o di
rimpatrio.
Questo tipo di intervento appare urgente anche alla luce delle
evoluzioni del contesto europeo e della possibilità di una significativa
intensificazione della rotta adriatica al fine di sviluppare opportune
attività di tutela dei diritti, nuove forme di intervento in frontiera,
nuovi strumenti di osservazione sistematica e contrasto di prassi
illegittime di gestione del confine, essendo in gioco una ulteriore
potenziale contrazione dei diritti dei richiedenti asilo e dei cittadini
stranieri.
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