da repubblica
Il capo di una famiglia nomade non puo' essere discriminato dalla giustizia per la sua "condizione esistenziale", e dunque deve essere risarcito per ingiusta detenzione se finisce in carcere per un reato commesso dai suoi congiunti.
Lo sottolinea la Cassazione, annullando con rinvio un'ordinanza della Corte d'appello di Salerno che aveva respinto la domanda di riparazione per ingiusta detenzione presentata da un capo rom, che aveva subito una misura di custodia per minaccia e tentato omicidio e poi era stato assolto per non aver commesso il fatto. Per i giudici della Corte d'appello, l'uomo non aveva diritto ad alcun indennizzo dato che la vicenda si inscriveva "in ambiente di cultura nomade", cosicche' "nella sua qualita' di capofamiglia", il ricorrente non poteva "ritenersi estraneo alle attivita' illecite dei congiunti". Di diverso avviso gli 'ermellini' della quarta sezione penale, secondo i quali "il provvedimento impugnato applica falsamente l'articolo 314 cpp (inerente la riparazione per ingiusta detenzione, ndr) perche' individua la colpa grave del cautelato che assume di aver subito ingiusta detenzione, colpa ostativa allo stesso sorgere del diritto a riparazione, non in una condotta endoprocessuale o extraprocessuale dell'imputato, non in suoi comportamenti omissivi che abbiano finito col determinare la autorita' procedente ad applicare la misura cautelare sulla base di una rappresentazione errata cagionata dallo stesso imputato, ma sulla condizione esistenziale di costui di essere capofamiglia in un gruppo di cultura nomade".
Il capo di una famiglia nomade non puo' essere discriminato dalla giustizia per la sua "condizione esistenziale", e dunque deve essere risarcito per ingiusta detenzione se finisce in carcere per un reato commesso dai suoi congiunti.
Lo sottolinea la Cassazione, annullando con rinvio un'ordinanza della Corte d'appello di Salerno che aveva respinto la domanda di riparazione per ingiusta detenzione presentata da un capo rom, che aveva subito una misura di custodia per minaccia e tentato omicidio e poi era stato assolto per non aver commesso il fatto. Per i giudici della Corte d'appello, l'uomo non aveva diritto ad alcun indennizzo dato che la vicenda si inscriveva "in ambiente di cultura nomade", cosicche' "nella sua qualita' di capofamiglia", il ricorrente non poteva "ritenersi estraneo alle attivita' illecite dei congiunti". Di diverso avviso gli 'ermellini' della quarta sezione penale, secondo i quali "il provvedimento impugnato applica falsamente l'articolo 314 cpp (inerente la riparazione per ingiusta detenzione, ndr) perche' individua la colpa grave del cautelato che assume di aver subito ingiusta detenzione, colpa ostativa allo stesso sorgere del diritto a riparazione, non in una condotta endoprocessuale o extraprocessuale dell'imputato, non in suoi comportamenti omissivi che abbiano finito col determinare la autorita' procedente ad applicare la misura cautelare sulla base di una rappresentazione errata cagionata dallo stesso imputato, ma sulla condizione esistenziale di costui di essere capofamiglia in un gruppo di cultura nomade".
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