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Ancona - La porta chiusa all'oriente

Il manifesto del 03 maggio 2009

Un’inquietante rete metallica nel porto dorico delimita il perimetro dell’area sbarchi e imbarchi dalla Grecia, un «muro» eretto contro rifugiati e immigrati che scappano da guerre, carestie e povertà. La via di fuga dei nuovi dannati della terra passa per Patrasso.

Ancona porta d’oriente. Questo lo slogan, un po’ da marketing pubblicitario, che periodicamente l’amministrazione comunale di turno, il politico in campagna elettorale, il giornale locale, lanciano senza senso del ridicolo. Peccato che questa presunta «porta d’oriente» sia in realtà sempre più blindata. Del resto chiunque oggi decida di imbarcarsi dallo scalo dorico per la Grecia, arrivato in prossimità della zona portuale, si trova di fronte ad una inquietante rete metallica che delimita il perimetro dell’area degli sbarchi e degli imbarchi. Una barriera come ci trovassimo in prossimità di un check point e non di un porto dove prendere un traghetto per una vacanza al mare. Un «muro» che simboleggia la nuova cortina di ferro verso i «dannati della terra» che fuggono da guerre, povertà, carestie e mettono a repentaglio la propria vita e quella dei loro cari per approdare sulle nostre coste. E il porto di Ancona, in questi ultimi anni, è diventato un punto sempre più caldo per quanto riguarda i tentativi di passare la frontiera.

Periodicamente la cronaca propone casi drammatici di migranti stritolati dalle ruote del tir dove si erano nascosti, sotto la «pancia» del mezzo. L’ultima tragedia è capitata domenica 29 marzo. Un ventenne iracheno, Aiman, si era aggrappato al semiasse per evitare i controlli, ma probabilmente stremato dal viaggio, dopo che il mezzo ha passato la dogana, ha lasciato la presa ed è rimasto schiacciato dalle ruote. Il 6 dicembre del 2006 due bosniaci Ferid Sulejmanovic di 33 anni e Sejdo Seferovic di 37, nel tentativo di raggiungere dei parenti a Roma e Cagliari, sono morti, probabilmente asfissiati, in un tir. E’ andata meglio a Ebrahim, afgano di 16 anni, nascosto sotto un pullman che riportava a casa da Atene una gita scolastica di studenti di Cheri. Dopo essersi nascosto nella stiva, si è appeso ad una traversina ed è riuscito ad arrivare fino alla località piemontese, dove crollato dalla stanchezza, è stato subito soccorso. Non sono stati così fortunati altri due giovanissimi, Khaled, sbarcato ad Ancona il 22 giugno dello scorso anno, sempre sotto un tir, e morto in autostrada a Forlì prostrato dallo sforzo e Zaher schiacciato il 10 dicembre del 2008 a Mestre.

Una situazione sempre più drammatica che ben conosce la sezione anconetana del Cir, Consiglio Italiano per i Rifugiati, una onlus attiva, anche a Venezia e Brindisi, dal 2001. Il Cir ha un ufficio proprio dentro l’area portuale ed ha il compito di ascoltare i cosiddetti clandestini individuati per verificarne la provenienza, i motivi del viaggio e l’eventuale richiesta d’asilo. Sandra Magliulo, una delle operatrici del Consiglio, ci spiega come inizialmente non avevano l’autorizzazione per accedere alle navi. Poi dal luglio 2007 sono riusciti ad avere il permesso. «Dal 2001 ad oggi - ci racconta - è triplicato il numero delle persone che a Patrasso attendono l’occasione buona per nascondersi e imbarcarsi. Ora si parla di duemila persone soprattutto di nazionalità afgana. Aspettano di passare per venire in Italia ma molti, la maggior parte, per attraversare il nostro Paese e congiungersi con i familiari. Il nostro è soprattutto un posto di transito. Cercano di passare il porto di Ancona per andare verso il nord Europa». Non sono pochi coloro che dopo aver dichiarato che vogliono raggiungere la famiglia all’estero, decidono di non scendere e tornano indietro, per poi tentare la fortuna dopo qualche giorno. «A volte - dice Sandra - il mediatore non arriva e quindi non facciamo in tempo ad ascoltarli».

Scelgono la Grecia e non l’Albania perché sanno che lì ci sono maggiori controlli in quanto Paese extra Shengen, mentre da Patrasso hanno qualche possibilità in più. Il tragitto classico è Afghanistan - Turchia - Grecia. La maggior parte sono uomini e molti scappano per motivi di lavoro. L’età media è molto bassa: 17-23 anni. «Sono persone che meriterebbero di essere tutte aiutate - sottolinea Sandra Magliulo - ma dobbiamo fare i conti con la nostra legislazione, non solo quella italiana, visto che il "Regolamento di Dublino", norma comunitaria, vincola gli individui e non dà a nessuno l’opportunità di scegliere dove richiedere asilo». Nel caso, abbastanza raro, di essere accolti si viene inseriti nelle strutture del Comune e della prefettura. Per i minori c’è un centro di prima accoglienza in un quartiere della città. Una palazzina con giardino. Poi quelli che rimangono vengono trasferiti in un’altra comunità data in gestione ad una cooperativa. Ancona ha il primato in Italia per il rapporto minori-popolazione locale (210 minori all’anno). Per i maggiorenni c’è un punto qualificato ad Arcevia, a quaranta chilometri dal capoluogo. I casi più disperati sono proprio quelli dei minori che si aggregano agli adulti dietro le carovane. Al Cir si sono trovati di fronte un bambino di sei anni arrivato con altri ragazzini, il più grande ne aveva 11. Sandra denuncia condizioni di lavoro difficili perché non ci sono strutture di prima accoglienza adeguate alla situazione. Con la polizia di frontiera ci dice «ora va molto meglio, mentre all’inizio le cose non sono state semplici».

Le cose saranno pure migliorate ma i respingimenti sono all’ordine del giorno e la polizia non gode di una buona fama. Ce lo confermano i giovani dell’Ambasciata dei diritti. L’Ambasciata è nata da alcuni anni. Si occupa di fornire assistenza e sostegno legale gratuito accessibile a tutti i migranti, compresi quelli privi di titolo di soggiorno. Sotto questo aspetto rappresenta ormai nel territorio regionale una realtà affermata e un punto di riferimento grazie al lavoro quotidiano a fianco dei migranti e al livello di competenza garantito anche dalla collaborazione con associazioni giuridiche che possono contare su un’esperienza pluriennale sull’immigrazione a livello nazionale. Gestisce anche un front office, con operatori qualificati, oltre che ad Ancona, a Falconara, Senigallia, Jesi e Macerata. Va detto che nel territorio comunale è ben presente un folto numero di associazioni, oltre a Cgil, Cisl e alla stessa Ambasciata, che sono molto attive su questo fronte. E poche settimane fa proprio l’Ambasciata dei diritti ha promosso una importante iniziativa nel capoluogo regionale il cui scopo, come ci ha spiegato Pietro è stato proprio quello di denunciare la prassi illegale della polizia di frontiera che in modo arbitrario rende alquanto difficile la possibilità che chi arriva possa fare richiesta di asilo.

E l’incontro promosso dall’associazione, «Diritto di asilo negato. Migranti e richiedenti asilo tra Ancona e Patrasso», ha visto l’intervento di Marianì, una giovane rappresentante dell’associazione «Kinisi» che proprio nella località greca di frontiera da due anni svolge la propria attività per aiutare i migranti. La situazione a Patrasso è ormai drammatica. Nella zona in prossimità del porto da tempo si è formato un villaggio fatto di piccole «abitazioni» costruite con cartone e legno, dove i tanti che provano la fortuna vivono in condizioni allucinanti. «Non hanno acqua, gas elettricità - ci racconta Marianì - e cercano di provvedere come possono, collegandosi con le reti del Comune». Anche con il rischio di rimetterci la vita come è successo tempo fa a chi si era collegato con la centralina vicina alla piccola bidonville. Una parte degli abitanti del quartiere limitrofo ha creato un’associazione anti immigrati dal significativo nome «saccheggio della città». La polizia si comporta con la consueta durezza di fronte a questi casi. Controlli pesanti, pestaggi e tutto l’armentario repressivo a cui purtroppo siamo abituati anche noi in Italia. Chi non ce la fa a passare ad Ancona e torna indietro viene chiuso nei container, senza bagno e acqua, cibo fornito una volta al giorno, ma non sempre. Insomma in prigione, anzi peggio.

I ragazzi di Kinisi fanno del loro meglio portando vestiti, da mangiare e da bere. Anche lì le associazioni si mobilitano. Intanto da un anno sono riuscite a far entrare nel ghetto una postazione di Medici Senza Frontiere. Poi hanno fatto una manifestazione per denunciare la situazione al resto della città, ignara di cosa accade a poche centinaia di metri. «Da dicembre - denuncia Marianì - la polizia si è fatta più aggressiva nei nostri confronti». È notizia di quete ore che il ministro degli interni greco ha deciso di trasferire tutti i profughi in una ex base militare fuori Patrasso, e tra poche settimane l’attuale campo verrà raso al suolo. Ancona e Patrasso sono due facce della stessa medaglia. Ne emerge un quadro fatto di soprusi, violenze, difficoltà enormi ad essere accettati come profughi, a fronte di persone che hanno bisogno di solidarietà e inclusione. In una situazione del genere, come abbiamo visto, diventa centrale il ruolo degli avvocati come prezioso supporto ai tanti casi di ordinaria ingiustizia. «Chiunque arriva in una zona di frontiera - dice Paolo Cognini, avvocato jesino oltre che leader storico del centri sociali marchigiani e consulente dell’Ambasciata - nel nostro caso al porto, dovrebbe essere debitamente informato sui diritti che ha dal punto di vista della richiesta di rifugiato che gli consentirebbe di rimanere nel territorio italiano pur nelle condizioni di restrizione per le modifiche intervenute nella normativa». Cognini evidenzia come chi arriva da Patrasso, nella maggior pare dei casi, proviene da Iraq e Afghanistan, quindi da zone di guerra. La Grecia, tra l’altro, più volte è stata denunciata dalla Corte di giustizia europea per la mancanza di tutele per i richiedenti asilo.

«Altro problema grave - prosegue - è quello dei minori. Infatti secondo la nostra legge qualsiasi minore che arriva in Italia non può essere respinto o espulso, tranne problemi gravissimi di sicurezza per lo Stato, e quindi dovrebbe avere diritto all’assistenza». Ultima questione, estremamente delicata, riguarda la repressione del reato di favoreggiamento di immigrazione clandestina. La legislazione prevede fino a quindici anni di reclusione, ma Paolo Cognini ci spiega come a farne le spese non siano le reti di trafficanti legati alla grande criminalità, ma spesso amici, genitori, conoscenti, che hanno un rapporto affettivo con il migrante. «Mi stanno capitando casi di persone - conclude - che si trovano in carcere da molto tempo e che devono affrontare processi assolutamente sproporzionati dal punto di vista dei possibili esiti rispetto al fatto reale che il più delle volte non riguarda trafficanti ma relazioni amicali».

A poche centinaia di metri dal porto di Ancona, dopo quella rete metallica simbolo dell’assurdità delle nostre leggi, c’è il corso principale della città. Ogni sera va in onda lo «struscio» che coinvolge centinaia di anconetani. Ignorano che poco distante dalla loro passeggiata, con sempre maggiore frequenza, ci sono persone, spesso loro giovani coetanei, che aggrappati disperatamente ad un tir cercano di passare il nuovo muro edificato dall’occidente. Il muro della vergogna.

di Sergio Sinigaglia

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